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La Provincia Pavese, luglio 2014

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Musica e Disincanti

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     martincervelli.blogspot.it                         lunedì 18 marzo 2013



Mandolin’ Brothers alla caccia del Folkest

Mandolin-Brothers intervista (58K)



Da oltre trent'anni i Mandolin' Brothers percorrono l'ampia strada della musica roots. Una strada dove si incontrano fantasmagoriche stazioni di servizio con luminose insegne che rimandano allo swamp rock della Louisiana, al Messico, alle ballate polverose che nascono negli ampi spazi della frontiera, alle radici del blues e ai profumi della pianura Padana. Decenni di musica vera, senza fronzoli e artifici, che hanno portato i Mandolin' Brothers a ritagliarsi uno spazio importante nella scena musicale, non solo italiana.
La storia del gruppo è iniziata nel 1979 quando Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari hanno aperto con un set acustico country blues, il concerto della Treves Blues Band. Il passaggio a una formazione elettrica, con un orientamento più blues rock negli anni '80, e l'inserimento della fisarmonica, con una sterzata roots negli anni '90, hanno segnato due decenni di concerti che hanno fatto conoscere la band a un ampio pubblico di appassionati. Per ascoltare il primo album, dal titolo "For Real" (2001), si è però dovuto attendere il nuovo secolo e solo negli ultimi anni si è assistito a una produzione discografica più continua: "Still got dreams" (2008), "30 Lives!" (2009), e l'americano "Moon Road" (2010). 
L'attuale line up del gruppo (attivo anche con una formazione acustica ridotta) è composta da Jimmy Ragazzon (voce, armonica e chitarra), Paolo Canevari (chitarre), Marco Rovino (mandolino, chitarre e voce), Riccardo Maccabruni (fisarmonica, tastiere e voce), Joe Barreca (basso e contrabbasso), Daniele Negro (batteria e percussioni).
I Mandolin' Brothers saranno impegnati venerdì 22 marzo a Loano (sala consiliare, ore 21) in occasione delle selezioni nord-ovest di Folkest, prestigioso festival che tutti gli anni va in scena a luglio in Friuli-Venezia Giulia.
Con Jimmy Ragazzon abbiamo parlato di musica, storia, Woody Guthrie e anni '70.



I Mandolin' Brothers vengono considerati la prima band italiana di roots music. Cosa vi ha spinto ad approdare a questo genere, dopo essere partiti da una musica molto più blues oriented?

"Vorrei dire innanzitutto che noi non abbiamo mai abbandonato il blues, che è stato il nostro primo e più importante stimolo per iniziare a suonare. Poi nel corso degli anni, con l’avvicendarsi di vari membri nella band e l’introduzione della fisarmonica, strumento tipicamente italiano, ci siamo spostati verso un suono più roots, anche per fondere le varie tendenze e passioni di ognuno di noi. Amiamo e suoniamo musica fondamentalmente americana, ma siamo italiani, cosi come lo sono le nostre radici culturali. Quindi abbiamo cercato di fondere questi due aspetti e creare un nostro sound, senza però mai dimenticare le nostre origini blues".

I Mandolin' Brothers sono nati nel 1979 e in questi 34 anni avete pubblicato solo una manciata di dischi. Come mai siete stati così parchi nella produzione discografica?

"Non sempre si riesce a conciliare la quotidianità con l’impegno e la passione per la musica. Inoltre registrare un cd in maniera professionale costa soldi, tempo ed energia. Dopo il primo album, "For Real" del 2000, abbiamo avuto varie tribolazioni, cambi di formazione ecc. e solo nel 2008 siamo riusciti a tornare in studio per registrare "Still Got Dreams", che ci ha dato tante soddisfazioni e una grossa spinta a continuare. Da qui il disco dal vivo "30 Lives!" per celebrare degnamente i primi 30 anni di carriera e poi il cd/dvd "Moon Road", con il quale abbiamo realizzato il sogno di registrare negli States".

Tu e Paolo Canevari rappresentate l'anima dei Mandolin', poi nel corso degli anni sono stati molti i musicisti che hanno contribuito a dare al gruppo l'attuale fisionomia, non solo umana ma anche artistica. Perchè avete cambiato così spesso i vostri compagni di viaggio?

"I motivi sono vari. Problemi di studio, di lavoro, familiari, imprevisti e vicissitudini di ogni tipo. Non sempre è possibile mantenere una band stabile senza essere professionisti e quando si comincia a suonare con una certa frequenza i problemi si presentano puntuali. In fondo suonare in una band come la nostra comporta anche la scelta di un modo di vivere, che deve essere bilanciato con la vita e gli impegni di tutti i giorni. Spesso è difficile, ma con qualche sacrificio ce la si può fare".

Sbaglio o molti di voi hanno un lavoro regolare al di fuori della musica? Desumo quindi che in Italia non si possa vivere di sola musica...

"Posso rispondere solo per quanto ci riguarda e la risposta è no, almeno per ora. Tutti noi abbiamo un day job che, anche se talvolta è faticoso da sostenere, è anche un bene perchè ci rende musicalmente indipendenti, nel senso che avendo un’entrata più o meno sicura, abbiamo potuto sempre e solo suonare quello che a noi piace, senza alcun compromesso di sorta per raggranellare qualche soldo in più per poter pagare l’affitto. E’ ovvio che, dopo un concerto lontano da casa, certe mattine sono piuttosto ardue, ma è la dura legge del blues…".

Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale italiana?

"Purtroppo negli ultimi anni seguo poco la musica tradizionale italiana, dato che il tempo libero è quasi tutto impegnato dalla band. Comunque in passato ho potuto apprezzare gruppi come La Nuova Compagnia Di Canto Popolare, Il Canzoniere Del Lazio, il Duo Di Piadena, Giovanna Marini, il rimpianto Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini e tanti altri. Siamo sempre stati un paese di artisti apprezzati in tutto il mondo per la nostra arte tradizionale e dobbiamo andarne fieri, soprattutto in questi tempi di vuoto culturale, di indifferenza e superficialità".

Nel 2012 è stato celebrato il centenario della nascita di Woody Guthrie. Che insegnamenti vi ha trasmesso questo grande personaggio?

"L’importanza di Woody Guthrie è tuttora grande ed attualissima. I suoi insegnamenti sono arrivati a noi e li sta ancora trasmettendo alle nuove generazioni. Mai, come in questi ultimi anni, l’impegno sociale e la canzone di protesta e di denuncia sono necessari per informare, svegliare e stimolare la gente a scuotersi dal torpore che ci attanaglia. Ha ragione Steve Earle che, in un suo brano, chiede a Woody di ritornare perchè avremmo ancora molto bisogno di lui e delle sue battaglie. Lo scorso anno abbiamo partecipato a "Nel mio cuore ti sento ancora cantare: tributo a Woody Guthrie" a Modena e al bellissimo "Better World Coming" il cd che gli amici Lowlands hanno dedicato a Woody rivisitando le sue canzoni, insieme a molti musicisti della scena roots, indie e blues italiana".

Perchè avete scelto di registrare negli Stati Uniti il vostro ultimo disco?

"E’ stata semplicemente la realizzazione di un sogno, di un progetto in cui speravamo. Dopo aver partecipato all’International Blues Challenge 2010 a Memphis e suonato al B.B. King Blues Club, siamo volati ad Austin, in Texas, nello studio dell’amico musicista e produttore Merel Bregante, dove abbiamo registrato un mini cd di sei brani originali, con l’aiuto di artisti americani quali Cindy Cashdollar (Bob Dylan, Van Morrison, Dave Alvin, ecc.) Cody Braun (Reckless Kelly) Lynn Daniels (Willie Nelson) ed altri. Per ricordarci di tutta questa fantastica esperienza, abbiamo realizzato anche un dvd, con brani live, appunti ed immagini di viaggio".

Quanto è stato importante per i musicisti della vostra generazione vivere gli anni '70?

"Personalmente credo sia stato molto importante. La musica rock era al suo massimo splendore, uscivano in continuazione album capolavoro e c’erano molti eventi, mostre, film e concerti da vedere. Almeno fino alla disastrosa notte del Vigorelli a Milano, per il concerto di Led Zeppelin, che chiuse per diversi anni l’era dei grandi show in Italia. Io poi ho avuto la fortuna di poter andare spesso a Londra e, oltre ai concerti, di vedere posti gloriosi come il Marquee, il Rainbow, l’Hammersmith Odeon, la Nashville Room, The Roundhouse. Ma era tutta l’atmosfera veramente energica e creativa di quegli anni che, per un ragazzo appassionato di musica come me, era fantastica, stimolante e credo anche formativa per la mia cultura e storia personale. Da tutto questo la spinta ineluttabile ad essere sempre curiosi, ascoltare tantissima musica, leggere molto, viaggiare, imparare a suonare e formare una band".

Quali sono i vostri piani per i prossimi anni?

"Stiamo registrando il nuovo album che uscirà in autunno, con la produzione artistica di Jono Manson, musicista e produttore americano, che accompagneremo anche in alcuni concerti in giro per l’Italia. Poi continua la nostra attività live come band ed abbiamo la speranza di suonare nel Regno Unito nel prossimo autunno-inverno. E’ uno dei nostri numerosi sogni che intendiamo realizzare, dopo i tre brevi tour negli USA, insieme magari a un possibile album totalmente acustico. Vedremo come andrà, ma di sicuro non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Per saperne di più, potete seguirci sul nostro sito: mandolinbrothersband.com".

Jimmy, un paio di anni fa hai registrato un bel disco con un altro grande della scena musicale italiana: Maurizio Gnola. Avete intenzione di dare un seguito a questo progetto?

"Al momento ci limitiamo ai concerti, sia per i vari impegni con le nostre rispettive band, sia per l’importante collaborazione di Maurizio con il cantautore Davide Van De Sfroos. Comunque non escludo che, prima o poi, ci possa essere un secondo album, stavolta anche con la preziosa partecipazione di Davide “Billa” Brambilla, fisarmonicista con De Sfroos e Ruggeri, e qualche altro special guest".

Infine, perchè avete deciso di partecipare alle selezioni di Folkest?

"Perchè e una manifestazione molto importante ed interessante, non commerciale, che propone cultura, dibattiti, occasioni di incontro e soprattutto musica vera, suonata da musicisti appassionati che credono in quello che fanno, cosi come coloro che ogni anno organizzano uno dei festival musicali più belli d’Italia. Ci siamo stati come pubblico, qualcuno di noi ci ha già suonato, ma ci terremmo veramente molto a partecipare come band, per aggiungere un altro capitolo importante alla nostra storia".








Pubblicato da Martin Cervelli a lunedì, marzo 18, 2013









Intervista tratta da rootsandblues.org by Ferdinando Vighi

Più di 30 anni passati "on the road" con un crescendo che ha portato questa band -- italianissima nei componenti, ma profondamente americana -- a successi internazionali meritatissimi. Una fusione perfetta di Country, Rock, Blues e musica tradizionale con Dylan nel cuore e Cooder nel bootleneck. Sul palco del Rootsway sono saliti già parecchie volte, ma sempre lasciando il segno. Jimmy Ragazzon, Paolo Canevari, Daniele Negro, Joe Barreca, Marco Rovino e Riccardo Maccabruni sono beniamini del festival e in questa serata -- statene certi -- ne vedrete delle belle.








Moon Road
( 2010 )


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     w w w . m u s i c u l t u r a . i t

Giugno 2012


Mandolin’ Brothers alla XXIII edizione di Musicultura
edizione: Musicultura Festival XXIII Edizione

in qualità di: Ospite



Intervista
Sul palco abbiamo visto uno strumento molto particolare . . . come si chiama?


Si chiama rubboard. È nato dalla vecchia tavola per strigliare il bucato. Se non avevi i soldi per comprare una batteria e volevi tenere il ritmo, erano perfetti.

Siete stati negli USA all’International blues Challenge: questa esperienza vi ha cambiati, vi ha ispirati?

Siamo già stati negli Stati Uniti, ma questa volta era diverso, perchè eravamo a Memphis, in una delle patrie del blues e del Rock’n roll. Dopo un tour in Florida e un tour in Texas è stato veramente emozionante arrivare lì. È stato indimenticabile. Anche noi abbiamo filmato tutto per rivederlo e ogni tanto lo riguardiamo.

Come vi siete avvicinati a questo genere?

Siamo partiti tutti dal rock. Molte band, quali i Rolling Stones o i Led Zeppelin, si rifacevano al Blues, abbiamo fatto il percorso a ritroso, andando a ricercare quali erano le matrici del sound dei gruppi che ci piacevano degli anni 70, avendo una certa età. Un ritorno alle origini.

C’è una differenza di impatto sul pubblico da quello americano a quello italiano?
Se quello che fai è sentito e sincero , il pubblico lo capta e lo apprezza. In Italia, fortunatamente non questa sera c’è una maggiore settorialità, nel senso che se tu fai blues, devi fare esclusivamente un tipo di musica. Se invece come nel nostro caso fai quello che definiamo Rock delle radici, che comprende tutte le matrici che hanno dato vita al rock, già c’è qualche naso che si storce un pochetto. Ma noi facciamo la musica che ci piace e con la quale ci divertiamo e speriamo di far divertire chi ci ascolta.


MARIATERESA AMATULLI (Redazione Sciuscià 2012)




JAMBOREE

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PROVINCIA PAVESE - dicembre 2010

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IL PERIODICO - gennaio 2011



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Still Got  Dreams
( 2008 )


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intervista dal sito:  www.rootshighway.it
aprile 2009

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cd mandolin SGD Roots (14K) Mandolin’ Brothers
Intervistiamo Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari, storici membri dei Mandolin’ Brothers, una autentica istituzione del roots rock italiano che, dopo anni di grande passione e molti concerti, si sono ritagliati un piccolo importante spazio grazie all’ottimo Still Got Dreams.


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:: Mandolin’ Brothers, intervista
Aggrappati ad un sogno

La dedizione con cui si è spesso chiamati a tenere insieme una band non è una nota a margine, semmai la distinzione fra chi riesce tenacemente a restare in piedi e chi deve soccombere alle richieste pressanti di questa passione chiamata rock’n’roll. I Mandolin’ Brothers sono la dimostrazione che si può rimanere aggrappati ad un sogno, coltivarlo con pazienza, suonando ogni week end e lasciando che i dischi nascano quando davvero ce n’è bisogno, senza fretta. Se poi questi ultimi sono piccoli capolavori di roots rock di marca italiana - e Still Got Dreams ha canzoni, suoni e produzione (Massimo Visentin) che valgono decine di outsider americani - allora significa che la passione, e la conoscenza aggiungiamo noi, dei Mandolin’ Brothers si è trasformata in qualcosa di più concreto. Abbiamo parlato della lunga strada sin qui percorsa, dei tanti cambiamenti, anche dolorosi, affrontati e naturalmente dei "sogni" da coltivare insieme a Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari, storici membri del gruppo attorno ai quali oggi si sono coalizzati vecchi e nuovi protagonisti: Bruno de Faveri alle chitarre e mandolino, Giuseppe "Joe" Barreca al basso, Riccardo "Macca" Maccabruni alle tastiere e Daniele Negro alla batteria.
(a cura di Fabio Cerbone)

www.mandolinbrothersband.com


L’intervista

La storia dei Mandolin’ Brothers parte da molto lontano: avete affrontato diversi cambi di formazione negli anni. Cosa pensate vi abbia tenuto insieme in tutto questo tempo? È solo un questione di passioni musicali comuni o c’è stata una sorta di visione che ha unito i vecchi e i nuovi arrivati?

J : Inizialmente ci piaceva l’idea di essere una band, di poter suonare la musica dei nostri musicisti preferiti. Poi col passare del tempo, trovando maggiore convinzione nei nostri mezzi, abbiamo avuto una idea più personale, componendo brani nostri e proponendoli nei concerti, fino alla realizzazione del primo cd "For Real". Con questa ultima formazione, crediamo di essere finalmente completi ed affiatati.
P : i cambi di formazione sono stati molti, e in 30 anni di attività abbiamo passato periodi molto travagliati. La coesione della band deriva dalla amicizia che ci lega e dalla visione di un obiettivo musicale comune, inteso come risultato "artistico" e non di "successo o notorietà".

Avete sempre dedicato molta attenzione e pazienza all’incisione dei vostri dischi, pochi forse ma molto pensati. Ad ogni modo viene spontaneo chiedervi come mai sono trascorsi così tanti anni dal precedente lavoro For Real, ormai del 2001. Solo esigenze di tempo, impegni personali o qualcosa d’altro?

J : Purtroppo con il blues e generi limitrofi, in Italia non ci si campa ed avendo tutti un "day job", famiglia, altri impegni,"disastri personali" ecc. i tempi si sono fatalmente allungati.
P : Un mix di tutti i fattori citati uniti da un cambio di line up, che ha molto influito.

Cosa ci potete raccontare del lavoro di produzione con Massimo Visentin: mi pare davvero che sia stato un punto di svolta per dare un suono più maturo a questo disco, sbaglio? Raccontatemi un pò di come si è svolto il lavoro in studio di registrazione . . .

Il ruolo di Massimo è stato fondamentale ed insostituibile, non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello "artistico": soprattutto ci ha indicato dove "togliere" , dove suonare meno per lasciare spazi di "respiro" e tenere solo le cose veramente necessarie e caratterizzanti. Inoltre ha usato alcuni "vecchi trucchi" per registrare molto interessanti . . . Sul sito della band (mandolinbrothersband.com) è pubblicata, sotto il titolo di "Genesi di Still Got Dreams", la storia delle registrazioni . . . con qualche aneddoto simpatico.

mandolin_thunder (32K) Passando ad alcune canzoni: da dove nasce il testo per un brano come Saigon? Una suggestione cinematografica, Apocalypse Now mi pare ovvio, o qualcosa di più?

J : Sono cresciuto in un ambiente di sinistra e ho seguito molto, anche di rimando, la guerra del Vietnam, quella che è stata definita "la prima guerra rock’n roll". Si svolgeva in contemporanea con il massimo fulgore del rock e mi ha sempre molto interessato. Ho letto dozzine di libri sull’argomento (ne posseggo una piccola collezione), visto tutti i film e sono andato a verificare di persona nel 2002, con un indimenticabile viaggio in Vietnam. Ho comunque sempre avuto una grande passione per l’Asia in generale, che ho soddisfatto in molti viaggi, anche se ho ancora tanto da vedere.
P : Jimmy ed io siamo cresciuti in un periodo durante il quale nei telegiornali si parlava quotidianamente di Hanoi , di Saigon, del Delta del Mekong, della guerra nel sud est asiatico e dell’universale movimento di protesta contro quel conflitto . . . non potevamo rimanerne indifferenti. Era ed è una priorità schierarsi per la pace.

L’immaginario contenuto in alcune canzoni come la stessa Still Got Dreams, ma penso soprattutto a Went to See the Poet o Carton Box sembra legarsi moltissimo all’esperienza della letteratura beat e di un certo periodo culturale americano: sono influenze concrete nella musica e nei testi dei Mandolin’ Brothers?

J : Assolutamente si. Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs e Bob Dylan mi hanno influenzato tantissimo. Li ho letti e riletti, ascoltati e riascoltati. Sono convinto che abbiano ancora un grande ed importante messaggio da offrire anche alle generazioni del nuovo secolo: la ricerca della pace e della ugualianza, di un metodo di vita che rispetti la natura, la curiosità verso tutta la cultura e le tradizioni di ogni popolo, l’interesse per il tuo prossimo e per gli oppressi di tutto il mondo, sono valori sacri ed immortali. Quindi è giusto e logico che molte delle cose da loro scritte o cantate, influenzino i testi delle canzoni che scrivo.
P : Non scrivo i testi ma sulla strada l’ho letto 8 o 9 volte . . . la prima cosa che feci, letteralmente, quando arrivai a San Francisco fu di catapultarmi al City Light Bookshop ed al Caff&egerave; Vesuvio . . . ancora prima di andare in pellegrinaggio ad Haight Ashbury . . . e detto da un fanatico di Jerry Garcia quale sono io, è detto tutto !!!

Insane invece mi è parsa subito una delle canzoni più particolari, perchè sembra discostarsi un po’ dal vostro stile più "sporco" e bluesy. C’è una cura delle parti vocali e una generale atmosfera folk che rimanda quasi alla West Coast. Avete mai pensato di dedicare più attenzione a questa sorta di anima acustica della band, magari anche dal vivo?

Certo, la passione per le atmosfere west coast non ci lascerà mai. Abbiamo anche un quartetto acustico con un repertorio diverso di canzoni, e ci stiamo lavorando per poterlo migliorare. È comunque difficile, almeno nei concerti, rendere bene o almeno decentemente, brani con voci armonizzate e strumenti acustici, dato che spesso le situazioni tecniche che troviamo lasciano a desiderare . . .comunque ci piacerebbe prima o poi, riuscire ad avere un "acoustic set" in ogni nostro concerto, ed approfondiremo il discorso nel prossimo album.

Il nome della band richiama immediatamente un preciso filone tradizionale della musica americana: dove nascono in realtà le radici musicali dei Mandolin’ Brothers, quali gli ascolti che hanno formato il sound del gruppo?

Le nostre radici musicali? Un enorme calderone . . . in principio Beatles e Stones. Poi Dylan, la west coast, Grateful Dead e CSN&Y in primis. Dagli Stones e dal British Blues abbiamo avuto lo spunto per conoscere e approfondire il blues originario del delta, di Robert Johnson, quello di Chicago di Muddy Waters, Howlin’ Wolf ecc . . . e al di la dei Led Zeppelin non ci hanno mai interessato l’hard rock ed i suoi derivati. Però non dimentichiamo Ry Cooder, Tom Waits, Los Lobos, Steve Earle, il Boss ecc. ecc. La fortuna di crescere durante i ’70 è stata anche quella di essere esposti a tutte le espressioni musicali e culturali possibili . . . tornando dal concerto di domenica scorsa, in macchina parlavamo di Coltrane e di Bach . . . abbiamo ascoltato di tutto e in un modo o nell’altro questo "tutto" ci ha influenzato . . . e ne siamo felici !

mandolinFloridaRoots (42K) Si conserva una forte matrice blues e southern all’interno del gruppo, e il finale con Midnite Plane e I’m Ready lo dimostra: come si sviluppa il suono dei Mandolin’ Brothers dal vivo? Sentite la voglia e la libertà di improvvisare e ed allargare il vostro sound rispetto agli spazi più ristretti del disco?

J : Abbiamo ancora qualcosa da imparare riguardo alle dinamiche di un concerto live. Cerchiamo comunque di rendere al meglio i nostri brani, spesso cambiando gli arrangiamenti originali, magari dilatandone la durata e proponendo varie covers che ci piacciono, in modo personale, o almeno così ci piace pensare. A questo proposito vorrei ricordare che il 25 aprile allo Spazio Musica di Pavia, registreremo il nostro album live. Siete tutti invitati.
P : Torno alle mie origini musicali . . . le mie prime band erano in pratica dei prototipi di jam band e il mio istinto sarebbe quello di seguire il mood del momento . . . ma in questo modo non si garantirebbe una omogeneità di qualità, per ogni concerto. Con questo non voglio dire che suoniamo sempre le stesse cose, c’è una parte di improvvisazione e spesso i brani assumono un "colore" diverso a seconda delle situazioni e degli stati d’animo dei musicisti. A dire il vero i nostri concerti non sono mai uno uguale all’altro...

Nel corso del 2007 avete avuto l’opportunità di suonare alcune date negli States: cosa vi siete portati a casa dall’esperienza americana? Dai musicisti che eventualmente avete incontrato e soprattutto dal pubblico americano, dal loro modo di vivere la musica . . .

Le esperienze musicali negli States, in Florida, sono state utilissime, ci hanno insegnato molto soprattutto dal punto di vista dell’approccio e dell’intenzione con cui si suona. Il responso favorevole di pubblico è stato come un’iniezione di autostima. Il confronto con i musicisti una lezione , anche di modestia, insostituibile. Anche per il recente viaggio ad Austin, abbiamo avuto la fortuna di suonare con gente del calibro di Merel Bregante, (storico batterista di Loggins & Messina, Nitty Gritty Dirt Band, Chris Hillman ecc.) Lynn Daniel (Willie Nelson Band) e la "grandissima" Cindy Cashdollar. Davvero emozionante . . . e poi ascoltare ogni sera musicisti di altissimo valore non può che caricarti ulteriormente.

Sembra esserci una scena italiana molto vivace in questi anni per il recupero di alcune sonorità roots americane, l’abbiamo toccata con mano anche sulle pagine del nostro sito. In particolare però penso ad un luogo come Pavia e ai musicisti che ruotano intorno a Spazio Musica, tra cui Maurizio "Gnola", i Rude Mood, recentemente Lowlands e Southlands. Sentite questo spirito di comunità e una certa vicinanza con altri musicisti?

Certo, sentiamo di far parte di una sorta di comunità musicale . . . che è nata spontaneamente. Non dimentichiamo che in zona ci sono anche i Chicken Mambo, i Southlands, i FolksWagon con i quali ci sono scambi musicali e collaborazioni. Il collaborare, il confrontarsi ed essere in contatto con altri musicisti è stimolante e fonte di accrescimento musicale, personale e culturale. Come dicono i nostri comuni amici Marco Denti e Mauro Zambellini, facciamo tutti parte della "Scena dell’Oltrepò", che è in continua espansione.

 

info@rootshighway.it



febbraio 2009

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la Provincia Pavese   18 agosto 2009    pagina 31    sezione: SPORT

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