Da oltre trent'anni i Mandolin' Brothers percorrono l'ampia strada della musica roots. Una strada dove si incontrano fantasmagoriche stazioni di servizio con luminose insegne che rimandano allo swamp rock della Louisiana, al Messico, alle ballate polverose che nascono negli ampi spazi della frontiera, alle radici del blues e ai profumi della pianura Padana. Decenni di musica vera, senza fronzoli e artifici, che hanno portato i Mandolin' Brothers a ritagliarsi uno spazio importante nella scena musicale, non solo italiana.
La storia del gruppo è iniziata nel 1979 quando Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari hanno aperto con un set acustico country blues, il concerto della Treves Blues Band. Il passaggio a una formazione elettrica, con un orientamento più blues rock negli anni '80, e l'inserimento della fisarmonica, con una sterzata roots negli anni '90, hanno segnato due decenni di concerti che hanno fatto conoscere la band a un ampio pubblico di appassionati. Per ascoltare il primo album, dal titolo "For Real" (2001), si è però dovuto attendere il nuovo secolo e solo negli ultimi anni si è assistito a una produzione discografica più continua: "Still got dreams" (2008), "30 Lives!" (2009), e l'americano "Moon Road" (2010).
L'attuale line up del gruppo (attivo anche con una formazione acustica ridotta) è composta da Jimmy Ragazzon (voce, armonica e chitarra), Paolo Canevari (chitarre), Marco Rovino (mandolino, chitarre e voce), Riccardo Maccabruni (fisarmonica, tastiere e voce), Joe Barreca (basso e contrabbasso), Daniele Negro (batteria e percussioni).
I Mandolin' Brothers saranno impegnati venerdì 22 marzo a Loano (sala consiliare, ore 21) in occasione delle selezioni nord-ovest di Folkest, prestigioso festival che tutti gli anni va in scena a luglio in Friuli-Venezia Giulia.
Con Jimmy Ragazzon abbiamo parlato di musica, storia, Woody Guthrie e anni '70.
I Mandolin' Brothers vengono considerati la prima band italiana di roots music. Cosa vi ha spinto ad approdare a questo genere, dopo essere partiti da una musica molto più blues oriented?
"Vorrei dire innanzitutto che noi non abbiamo mai abbandonato il blues, che è stato il nostro primo e più importante stimolo per iniziare a suonare. Poi nel corso degli anni, con l’avvicendarsi di vari membri nella band e l’introduzione della fisarmonica, strumento tipicamente italiano, ci siamo spostati verso un suono più roots, anche per fondere le varie tendenze e passioni di ognuno di noi. Amiamo e suoniamo musica fondamentalmente americana, ma siamo italiani, cosi come lo sono le nostre radici culturali. Quindi abbiamo cercato di fondere questi due aspetti e creare un nostro sound, senza però mai dimenticare le nostre origini blues".
I Mandolin' Brothers sono nati nel 1979 e in questi 34 anni avete pubblicato solo una manciata di dischi. Come mai siete stati così parchi nella produzione discografica?
"Non sempre si riesce a conciliare la quotidianità con l’impegno e la passione per la musica. Inoltre registrare un cd in maniera professionale costa soldi, tempo ed energia. Dopo il primo album, "For Real" del 2000, abbiamo avuto varie tribolazioni, cambi di formazione ecc. e solo nel 2008 siamo riusciti a tornare in studio per registrare "Still Got Dreams", che ci ha dato tante soddisfazioni e una grossa spinta a continuare. Da qui il disco dal vivo "30 Lives!" per celebrare degnamente i primi 30 anni di carriera e poi il cd/dvd "Moon Road", con il quale abbiamo realizzato il sogno di registrare negli States".
Tu e Paolo Canevari rappresentate l'anima dei Mandolin', poi nel corso degli anni sono stati molti i musicisti che hanno contribuito a dare al gruppo l'attuale fisionomia, non solo umana ma anche artistica. Perchè avete cambiato così spesso i vostri compagni di viaggio?
"I motivi sono vari. Problemi di studio, di lavoro, familiari, imprevisti e vicissitudini di ogni tipo. Non sempre è possibile mantenere una band stabile senza essere professionisti e quando si comincia a suonare con una certa frequenza i problemi si presentano puntuali. In fondo suonare in una band come la nostra comporta anche la scelta di un modo di vivere, che deve essere bilanciato con la vita e gli impegni di tutti i giorni. Spesso è difficile, ma con qualche sacrificio ce la si può fare".
Sbaglio o molti di voi hanno un lavoro regolare al di fuori della musica? Desumo quindi che in Italia non si possa vivere di sola musica...
"Posso rispondere solo per quanto ci riguarda e la risposta è no, almeno per ora. Tutti noi abbiamo un day job che, anche se talvolta è faticoso da sostenere, è anche un bene perchè ci rende musicalmente indipendenti, nel senso che avendo un’entrata più o meno sicura, abbiamo potuto sempre e solo suonare quello che a noi piace, senza alcun compromesso di sorta per raggranellare qualche soldo in più per poter pagare l’affitto. E’ ovvio che, dopo un concerto lontano da casa, certe mattine sono piuttosto ardue, ma è la dura legge del blues…".
Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale italiana?
"Purtroppo negli ultimi anni seguo poco la musica tradizionale italiana, dato che il tempo libero è quasi tutto impegnato dalla band. Comunque in passato ho potuto apprezzare gruppi come La Nuova Compagnia Di Canto Popolare, Il Canzoniere Del Lazio, il Duo Di Piadena, Giovanna Marini, il rimpianto Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini e tanti altri. Siamo sempre stati un paese di artisti apprezzati in tutto il mondo per la nostra arte tradizionale e dobbiamo andarne fieri, soprattutto in questi tempi di vuoto culturale, di indifferenza e superficialità".
Nel 2012 è stato celebrato il centenario della nascita di Woody Guthrie. Che insegnamenti vi ha trasmesso questo grande personaggio?
"L’importanza di Woody Guthrie è tuttora grande ed attualissima. I suoi insegnamenti sono arrivati a noi e li sta ancora trasmettendo alle nuove generazioni. Mai, come in questi ultimi anni, l’impegno sociale e la canzone di protesta e di denuncia sono necessari per informare, svegliare e stimolare la gente a scuotersi dal torpore che ci attanaglia. Ha ragione Steve Earle che, in un suo brano, chiede a Woody di ritornare perchè avremmo ancora molto bisogno di lui e delle sue battaglie. Lo scorso anno abbiamo partecipato a "Nel mio cuore ti sento ancora cantare: tributo a Woody Guthrie" a Modena e al bellissimo "Better World Coming" il cd che gli amici Lowlands hanno dedicato a Woody rivisitando le sue canzoni, insieme a molti musicisti della scena roots, indie e blues italiana".
Perchè avete scelto di registrare negli Stati Uniti il vostro ultimo disco?
"E’ stata semplicemente la realizzazione di un sogno, di un progetto in cui speravamo. Dopo aver partecipato all’International Blues Challenge 2010 a Memphis e suonato al B.B. King Blues Club, siamo volati ad Austin, in Texas, nello studio dell’amico musicista e produttore Merel Bregante, dove abbiamo registrato un mini cd di sei brani originali, con l’aiuto di artisti americani quali Cindy Cashdollar (Bob Dylan, Van Morrison, Dave Alvin, ecc.) Cody Braun (Reckless Kelly) Lynn Daniels (Willie Nelson) ed altri. Per ricordarci di tutta questa fantastica esperienza, abbiamo realizzato anche un dvd, con brani live, appunti ed immagini di viaggio".
Quanto è stato importante per i musicisti della vostra generazione vivere gli anni '70?
"Personalmente credo sia stato molto importante. La musica rock era al suo massimo splendore, uscivano in continuazione album capolavoro e c’erano molti eventi, mostre, film e concerti da vedere. Almeno fino alla disastrosa notte del Vigorelli a Milano, per il concerto di Led Zeppelin, che chiuse per diversi anni l’era dei grandi show in Italia. Io poi ho avuto la fortuna di poter andare spesso a Londra e, oltre ai concerti, di vedere posti gloriosi come il Marquee, il Rainbow, l’Hammersmith Odeon, la Nashville Room, The Roundhouse. Ma era tutta l’atmosfera veramente energica e creativa di quegli anni che, per un ragazzo appassionato di musica come me, era fantastica, stimolante e credo anche formativa per la mia cultura e storia personale. Da tutto questo la spinta ineluttabile ad essere sempre curiosi, ascoltare tantissima musica, leggere molto, viaggiare, imparare a suonare e formare una band".
Quali sono i vostri piani per i prossimi anni?
"Stiamo registrando il nuovo album che uscirà in autunno, con la produzione artistica di Jono Manson, musicista e produttore americano, che accompagneremo anche in alcuni concerti in giro per l’Italia. Poi continua la nostra attività live come band ed abbiamo la speranza di suonare nel Regno Unito nel prossimo autunno-inverno. E’ uno dei nostri numerosi sogni che intendiamo realizzare, dopo i tre brevi tour negli USA, insieme magari a un possibile album totalmente acustico. Vedremo come andrà, ma di sicuro non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Per saperne di più, potete seguirci sul nostro sito: mandolinbrothersband.com".
Jimmy, un paio di anni fa hai registrato un bel disco con un altro grande della scena musicale italiana: Maurizio Gnola. Avete intenzione di dare un seguito a questo progetto?
"Al momento ci limitiamo ai concerti, sia per i vari impegni con le nostre rispettive band, sia per l’importante collaborazione di Maurizio con il cantautore Davide Van De Sfroos. Comunque non escludo che, prima o poi, ci possa essere un secondo album, stavolta anche con la preziosa partecipazione di Davide “Billa” Brambilla, fisarmonicista con De Sfroos e Ruggeri, e qualche altro special guest".
Infine, perchè avete deciso di partecipare alle selezioni di Folkest?
"Perchè e una manifestazione molto importante ed interessante, non commerciale, che propone cultura, dibattiti, occasioni di incontro e soprattutto musica vera, suonata da musicisti appassionati che credono in quello che fanno, cosi come coloro che ogni anno organizzano uno dei festival musicali più belli d’Italia. Ci siamo stati come pubblico, qualcuno di noi ci ha già suonato, ma ci terremmo veramente molto a partecipare come band, per aggiungere un altro capitolo importante alla nostra storia".
Pubblicato da Martin Cervelli a lunedì, marzo 18, 2013
Più di 30 anni passati "on the road" con un crescendo che ha portato questa band
-- italianissima nei componenti, ma profondamente americana -- a successi internazionali meritatissimi.
Una fusione perfetta di Country, Rock, Blues e musica tradizionale con Dylan nel cuore e Cooder nel bootleneck.
Sul palco del Rootsway sono saliti già parecchie volte, ma sempre lasciando il segno.
Jimmy Ragazzon, Paolo Canevari, Daniele Negro, Joe Barreca, Marco Rovino e Riccardo Maccabruni sono beniamini del festival e in questa serata
-- statene certi -- ne vedrete delle belle.
Intervista
Sul palco abbiamo visto uno strumento molto particolare . . . come si chiama?
Si chiama rubboard. È nato dalla vecchia tavola per strigliare il bucato.
Se non avevi i soldi per comprare una batteria e volevi tenere il ritmo, erano perfetti.
Siete stati negli USA all’International blues Challenge: questa esperienza vi ha cambiati, vi ha ispirati?
Siamo già stati negli Stati Uniti, ma questa volta era diverso, perchè eravamo a Memphis,
in una delle patrie del blues e del Rock’n roll. Dopo un tour in Florida e un tour in Texas è stato veramente emozionante arrivare lì.
È stato indimenticabile. Anche noi abbiamo filmato tutto per rivederlo e ogni tanto lo riguardiamo.
Come vi siete avvicinati a questo genere?
Siamo partiti tutti dal rock. Molte band, quali i Rolling Stones o i Led Zeppelin, si rifacevano al Blues,
abbiamo fatto il percorso a ritroso, andando a ricercare quali erano le matrici del sound dei gruppi che ci piacevano degli anni 70,
avendo una certa età. Un ritorno alle origini.
C’è una differenza di impatto sul pubblico da quello americano a quello italiano?
Se quello che fai è sentito e sincero , il pubblico lo capta e lo apprezza. In Italia, fortunatamente non questa sera
c’è una maggiore settorialità, nel senso che se tu fai blues, devi fare esclusivamente un tipo di musica.
Se invece come nel nostro caso fai quello che definiamo Rock delle radici, che comprende tutte le matrici che hanno dato vita al rock,
già c’è qualche naso che si storce un pochetto. Ma noi facciamo la musica che ci piace
e con la quale ci divertiamo e speriamo di far divertire chi ci ascolta.
Mandolin’ Brothers Intervistiamo
Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari, storici membri dei Mandolin’
Brothers, una autentica istituzione del roots rock
italiano che, dopo anni di grande passione e molti concerti,
si sono ritagliati un piccolo importante spazio grazie all’ottimo
Still Got Dreams.
::Mandolin’ Brothers,
intervista Aggrappati
ad un sogno
La dedizione con cui si è
spesso chiamati a tenere insieme una band non è
una nota a margine, semmai la distinzione fra chi riesce
tenacemente a restare in piedi e chi deve soccombere
alle richieste pressanti di questa passione chiamata
rock’n’roll. I Mandolin’ Brothers sono la dimostrazione
che si può rimanere aggrappati ad un sogno, coltivarlo
con pazienza, suonando ogni week end e lasciando che
i dischi nascano quando davvero ce n’è bisogno,
senza fretta. Se poi questi ultimi sono piccoli capolavori
di roots rock di marca italiana - e Still
Got Dreams ha canzoni, suoni e produzione
(Massimo Visentin) che valgono decine di outsider americani
- allora significa che la passione, e la conoscenza
aggiungiamo noi, dei Mandolin’ Brothers si è
trasformata in qualcosa di più concreto. Abbiamo
parlato della lunga strada sin qui percorsa, dei tanti
cambiamenti, anche dolorosi, affrontati e naturalmente
dei "sogni" da coltivare insieme a Jimmy
Ragazzon e Paolo Canevari, storici membri
del gruppo attorno ai quali oggi si sono coalizzati
vecchi e nuovi protagonisti: Bruno de Faveri alle chitarre
e mandolino, Giuseppe "Joe" Barreca al basso,
Riccardo "Macca" Maccabruni alle tastiere
e Daniele Negro alla batteria.
(a cura di Fabio Cerbone)
La storia
dei Mandolin’ Brothers parte da molto lontano:
avete affrontato diversi cambi di formazione
negli anni. Cosa pensate vi abbia tenuto insieme
in tutto questo tempo? È solo un questione
di passioni musicali comuni o c’è stata una
sorta di visione che ha unito i vecchi e i
nuovi arrivati?
J : Inizialmente ci
piaceva l’idea di essere una band, di poter
suonare la musica dei nostri musicisti preferiti.
Poi col passare del tempo, trovando maggiore
convinzione nei nostri mezzi, abbiamo avuto
una idea più personale, componendo brani nostri
e proponendoli nei concerti, fino alla realizzazione
del primo cd "For Real". Con questa ultima
formazione, crediamo di essere finalmente
completi ed affiatati. P : i cambi di formazione sono stati
molti, e in 30 anni di attività abbiamo passato
periodi molto travagliati. La coesione della
band deriva dalla amicizia che ci lega e dalla
visione di un obiettivo musicale comune, inteso
come risultato "artistico" e non di "successo
o notorietà".
Avete
sempre dedicato molta attenzione e pazienza
all’incisione dei vostri dischi, pochi forse
ma molto pensati. Ad ogni modo viene spontaneo
chiedervi come mai sono trascorsi così tanti
anni dal precedente lavoro For Real, ormai
del 2001. Solo esigenze di tempo, impegni
personali o qualcosa d’altro?
J : Purtroppo con il
blues e generi limitrofi, in Italia non ci
si campa ed avendo tutti un "day job", famiglia,
altri impegni,"disastri personali" ecc. i
tempi si sono fatalmente allungati. P : Un mix di tutti i fattori citati
uniti da un cambio di line up, che ha molto
influito.
Cosa
ci potete raccontare del lavoro di produzione
con Massimo Visentin: mi pare davvero che
sia stato un punto di svolta per dare un suono
più maturo a questo disco, sbaglio? Raccontatemi
un pò di come si è svolto il lavoro in studio
di registrazione . . .
Il ruolo di Massimo è stato
fondamentale ed insostituibile, non solo dal
punto di vista tecnico ma anche da quello
"artistico": soprattutto ci ha indicato dove
"togliere" , dove suonare meno per lasciare
spazi di "respiro" e tenere solo le cose veramente
necessarie e caratterizzanti. Inoltre ha usato
alcuni "vecchi trucchi" per registrare molto
interessanti . . . Sul sito della band (mandolinbrothersband.com)
è pubblicata, sotto il titolo di "Genesi di
Still Got Dreams", la storia delle registrazioni . . . con
qualche aneddoto simpatico.
Passando
ad alcune canzoni: da dove nasce il testo
per un brano come Saigon? Una suggestione
cinematografica, Apocalypse Now mi pare ovvio,
o qualcosa di più?
J : Sono cresciuto in
un ambiente di sinistra e ho seguito molto,
anche di rimando, la guerra del Vietnam, quella
che è stata definita "la prima guerra rock’n
roll". Si svolgeva in contemporanea con il
massimo fulgore del rock e mi ha sempre molto
interessato. Ho letto dozzine di libri sull’argomento
(ne posseggo una piccola collezione), visto
tutti i film e sono andato a verificare di
persona nel 2002, con un indimenticabile viaggio
in Vietnam. Ho comunque sempre avuto una grande
passione per l’Asia in generale, che ho soddisfatto
in molti viaggi, anche se ho ancora tanto
da vedere. P : Jimmy ed io siamo cresciuti in
un periodo durante il quale nei telegiornali
si parlava quotidianamente di Hanoi , di Saigon,
del Delta del Mekong, della guerra nel sud
est asiatico e dell’universale movimento di
protesta contro quel conflitto . . . non potevamo
rimanerne indifferenti. Era ed è una priorità
schierarsi per la pace.
L’immaginario
contenuto in alcune canzoni come la stessa
Still Got Dreams, ma penso soprattutto
a Went to See the Poet o Carton
Box sembra legarsi moltissimo all’esperienza
della letteratura beat e di un certo periodo
culturale americano: sono influenze concrete
nella musica e nei testi dei Mandolin’ Brothers?
J : Assolutamente si. Jack Kerouac,
Allen Ginsberg, William Burroughs e Bob Dylan
mi hanno influenzato tantissimo. Li ho letti
e riletti, ascoltati e riascoltati. Sono convinto
che abbiano ancora un grande ed importante
messaggio da offrire anche alle generazioni
del nuovo secolo: la ricerca della pace e
della ugualianza, di un metodo di vita che
rispetti la natura, la curiosità verso tutta
la cultura e le tradizioni di ogni popolo,
l’interesse per il tuo prossimo e per gli
oppressi di tutto il mondo, sono valori sacri
ed immortali. Quindi è giusto e logico che
molte delle cose da loro scritte o cantate,
influenzino i testi delle canzoni che scrivo.
P : Non scrivo i testi ma sulla strada
l’ho letto 8 o 9 volte . . . la prima cosa che feci,
letteralmente, quando arrivai a San Francisco
fu di catapultarmi al City Light Bookshop
ed al Caff&egerave; Vesuvio . . . ancora prima di andare
in pellegrinaggio ad Haight Ashbury . . . e detto
da un fanatico di Jerry Garcia quale sono
io, è detto tutto !!!
Insane
invece mi è parsa subito una delle canzoni
più particolari, perchè sembra discostarsi
un po’ dal vostro stile più "sporco" e bluesy.
C’è una cura delle parti vocali e una generale
atmosfera folk che rimanda quasi alla West
Coast. Avete mai pensato di dedicare più attenzione
a questa sorta di anima acustica della band,
magari anche dal vivo?
Certo, la passione per le
atmosfere west coast non ci lascerà mai. Abbiamo
anche un quartetto acustico con un repertorio
diverso di canzoni, e ci stiamo lavorando
per poterlo migliorare. È comunque difficile,
almeno nei concerti, rendere bene o almeno
decentemente, brani con voci armonizzate e
strumenti acustici, dato che spesso le situazioni
tecniche che troviamo lasciano a desiderare . . .comunque
ci piacerebbe prima o poi, riuscire ad avere
un "acoustic set" in ogni nostro concerto,
ed approfondiremo il discorso nel prossimo
album.
Il
nome della band richiama immediatamente un
preciso filone tradizionale della musica americana:
dove nascono in realtà le radici musicali
dei Mandolin’ Brothers, quali gli ascolti
che hanno formato il sound del gruppo?
Le nostre radici musicali?
Un enorme calderone . . . in principio Beatles
e Stones. Poi Dylan, la west coast, Grateful
Dead e CSN&Y in primis. Dagli Stones e dal
British Blues abbiamo avuto lo spunto per
conoscere e approfondire il blues originario
del delta, di Robert Johnson, quello di Chicago
di Muddy Waters, Howlin’ Wolf ecc . . . e al di
la dei Led Zeppelin non ci hanno mai interessato
l’hard rock ed i suoi derivati. Però non dimentichiamo
Ry Cooder, Tom Waits, Los Lobos, Steve Earle,
il Boss ecc. ecc. La fortuna di crescere durante
i ’70 è stata anche quella di essere esposti
a tutte le espressioni musicali e culturali
possibili . . . tornando dal concerto di domenica
scorsa, in macchina parlavamo di Coltrane
e di Bach . . . abbiamo ascoltato di tutto e in
un modo o nell’altro questo "tutto" ci ha
influenzato . . . e ne siamo felici !
Si conserva una forte matrice blues e southern
all’interno del gruppo, e il finale con Midnite
Plane e I’m Ready lo dimostra:
come si sviluppa il suono dei Mandolin’ Brothers
dal vivo? Sentite la voglia e la libertà di
improvvisare e ed allargare il vostro sound
rispetto agli spazi più ristretti del disco?
J : Abbiamo ancora qualcosa
da imparare riguardo alle dinamiche di un
concerto live. Cerchiamo comunque di rendere
al meglio i nostri brani, spesso cambiando
gli arrangiamenti originali, magari dilatandone
la durata e proponendo varie covers che ci
piacciono, in modo personale, o almeno così
ci piace pensare. A questo proposito vorrei
ricordare che il 25 aprile allo Spazio Musica
di Pavia, registreremo il nostro album live.
Siete tutti invitati. P : Torno alle mie origini musicali . . . le
mie prime band erano in pratica dei prototipi
di jam band e il mio istinto sarebbe quello
di seguire il mood del momento . . . ma in questo
modo non si garantirebbe una omogeneità di
qualità, per ogni concerto. Con questo non
voglio dire che suoniamo sempre le stesse
cose, c’è una parte di improvvisazione e spesso
i brani assumono un "colore" diverso a seconda
delle situazioni e degli stati d’animo dei
musicisti. A dire il vero i nostri concerti
non sono mai uno uguale all’altro...
Nel
corso del 2007 avete avuto l’opportunità di
suonare alcune date negli States: cosa vi
siete portati a casa dall’esperienza americana?
Dai musicisti che eventualmente avete incontrato
e soprattutto dal pubblico americano, dal
loro modo di vivere la musica . . .
Le esperienze musicali negli States,
in Florida, sono state utilissime, ci hanno
insegnato molto soprattutto dal punto di vista
dell’approccio e dell’intenzione con cui si
suona. Il responso favorevole di pubblico
è stato come un’iniezione di autostima. Il
confronto con i musicisti una lezione , anche
di modestia, insostituibile. Anche per il
recente viaggio ad Austin, abbiamo avuto la
fortuna di suonare con gente del calibro di
Merel Bregante, (storico batterista di Loggins
& Messina, Nitty Gritty Dirt Band, Chris Hillman
ecc.) Lynn Daniel (Willie Nelson Band) e la
"grandissima" Cindy Cashdollar. Davvero emozionante . . . e
poi ascoltare ogni sera musicisti di altissimo
valore non può che caricarti ulteriormente.
Sembra
esserci una scena italiana molto vivace in
questi anni per il recupero di alcune sonorità
roots americane, l’abbiamo toccata con mano
anche sulle pagine del nostro sito. In particolare
però penso ad un luogo come Pavia e ai musicisti
che ruotano intorno a Spazio Musica, tra cui
Maurizio "Gnola", i Rude Mood, recentemente
Lowlands e Southlands. Sentite questo spirito
di comunità e una certa vicinanza con altri
musicisti?
Certo, sentiamo di far parte
di una sorta di comunità musicale . . . che è nata
spontaneamente. Non dimentichiamo che in zona
ci sono anche i Chicken Mambo, i Southlands,
i FolksWagon con i quali ci sono scambi musicali
e collaborazioni. Il collaborare, il confrontarsi
ed essere in contatto con altri musicisti
è stimolante e fonte di accrescimento musicale,
personale e culturale. Come dicono i nostri
comuni amici Marco Denti e Mauro Zambellini,
facciamo tutti parte della "Scena dell’Oltrepò",
che è in continua espansione.